Tour de France 2023 | TIFARE CICLISMO NEL 2023

Tour de France 2023 | TIFARE CICLISMO NEL 2023

Autore: Emilio Previtali

 

Nel 2020 l'ECA, l'Associazione dei club di calcio europei ha pubblicato una ricerca intitolata Fan of the future - Defining Modern Football Fandom, un lavoro di studio condotto per tentare di definire il futuro del tifo e quindi, indirettamente, il futuro del gioco del calcio. Pare siano stati proprio i dati elaborati in questa serie di statistiche a convincere i manager di alcuni top club europei tra cui Juventus, Real Madrid, FC Barcelona, Liverpool per citarne alcuni, a dar vita alla Super Legue, un progetto di campionato nato (e poi andato in crisi quasi subito, con effetti a cascata piuttosto importanti) per dare risposta ai numeri e alle evidenze contenute in quella ricerca. 

Due dati su tutti, se vogliamo provare ad applicare anche al ciclismo alcune linee di principio ricavate dalle informazioni raccolte dalla ricerca, saltavano all’occhio: il primo, sui 14mila tifosi intervistati solo il 40 per cento ha l'abitudine di recarsi fisicamente allo stadio a vedere la partita. Il 51 per cento di loro però, gioca a Fifa, il famoso videogioco, almeno una volta al mese; il secondo dato interessante, il dieci per cento dei tifosi è affascinato dai grandi giocatori, non dai club. 

Il ciclismo è uno sport decisamente diverso rispetto al calcio: i dati e la storia ci dicono che la stragrande maggioranza dei tifosi del ciclismo, da sempre, seguono i corridori, non le squadre. Il ciclismo è uno sport particolare e unico nel suo genere: è sport di squadra ma a vincere le corse e a essere premiato, celebrato e a salire sul podio, è sempre e soltanto il singolo.

Il pensiero del “campionissimo”, della personalità individuale in grado di rivaleggiare quasi con la dimensione stessa dello sport è qualcosa che fino a poco tempo fa era appannaggio pressoché esclusivo del ciclismo o che era riservata ad alcune leggende degli sport individuali: Valentino Rossi nel motociclismo, Alberto Tomba nello sci, Roger Federer nel tennis, Ayrton Senna nell’automobilismo, solo per fare alcuni esempi. Più recentemente il calcio, ha visto innescarsi questo meccanismo: molti nuovi tifosi seguono i giocatori, ovunque essi vadano a giocare, non le squadre ed è questo il motivo per cui i team della Arabia Saudita stanno in questi mesi saccheggiando a piene mani i giocatori dei campionati europei. Succede perché stanno diventando i giocatori singoli – Cristiano Ronaldo, Lionel Messi, Karim Benzema - a muovere gli interessi commerciali all’interno dello sport del calcio e non più le squadre.

Immagine: Alex Whitehead/SWpix.com 

Ieri in testa al Tour de France, in una tappa impegnativa che sembrava quasi una classica, siamo tornati a vedere Mathieu van der Poel all’attacco. Non che recentemente non lo avessimo visto protagonista, è stato lui a pilotare negli sprint, con delle sparate di 300 metri oltre i 1000 watt, il suo compagno di squadra Jasper Philipsen, vincitore di quattro volate. Ieri però, in un’altra corsa tiratissima, abbiamo visto Mathieu van der Poel attaccare e tentare di dare filo da torcere agli inseguitori quando mancavano ancora 44 km al traguardo. Lì, proprio in quel momento, tutti quelli che erano davanti al teleschermo hanno tifato per van del Poel perché la realtà è che noi tifosi di ciclismo degli anni ’20 più che tifare i singoli, tifiamo per lo spettacolo. Più che sperare nel successo del nostro beniamino, che non è più necessariamente un nostro connazionale, speriamo di divertirci con attacchi e contro attacchi continui.

All’inizio il tifo era legato al campanile e un po’ come tutte le cose nate nel secolo scorso doveva essere localeper sempre, proprio come la fede (religiosa e sportiva), il o la consorte, il posto di lavoro. Poi è arrivata nel ciclismo l’era delle rivalità, prima nazionali - Coppi contro Bartali, Moser contro Saronni - e poi internazionali - Gimondi contro Merckx, Armstrong contro Ullrich, Pantani contro tutti, Cancellara contro Boonen. Oggi la rivalità tra singoli atleti è difficile da costruire ad arte, un po’ perché ci sono tanti bravi campioni di nazionalità diverse che militano in tante squadre internazionali diverse; un po’ perché la narrazione fatta sui giornali sportivi non riesce più a essere così incisiva ed esclusiva come lo era un tempo; e un po’, infine, perché ciascuno di questi corridori è un vero e proprio brand, oltre che un atleta.

I tifosi di ciclismo digitali, quelli che lo sport lo seguono prevalentemente in TV senza necessariamente pedalare a loro volta o senza necessariamente andarle a vedere per strada le corse, stanno cambiando il ciclismo. C'entra internet e c'entrano i social media. C'entrano le generazioni che invecchiano e quelle che crescono e insomma c’entriamo tutti noi e le nostre abitudini, che sono cambiate. Sono cambiati il nostro ritmo di vita, gli oggetti di cui ci circondiamo, la nostra attitudine a uscire di casa e a fare fatica per andare a vedere qualcosa che sta per succedere. La verità è che forse siamo diventati pigri e ci accontentiamo che il ciclismo arrivi a noi e che c’intrattenga, che ci sollevi dalla noia e dal piattume quotidiano per qualche minuto.

Il ciclismo ha cominciato a fare i conti con il peso specifico dei tifosi digitali perché è online che viaggiano la maggior parte delle informazione e dei contenuti che riguardano il ciclismo. L’epoca in cui si leggeva il report della tappa sulle pagine di un giornale, digitale o cartaceo, il giorno dopo la tappa, è finito da un pezzo.

Si tende però ancora a pensare al tifoso digitale come a un tifoso minore: se non sei a bordo strada, non puoi capire, amano ripetere i veterani del ciclismo. Quel che succede però - e per rendersene conto basta seguire la telecronaca di una gara di ciclismo in TV – è che ormai immancabilmente i commentatori dialogano con i telespettatori oltre che con la voce e le immagini, anche con gli schermi secondari e le piattaforme social. I tifosi digitali non sono isolati e solitari, distanti e apatici come si tende a raccontarli. Hanno abitudini e linguaggi propri, seguono rituali, interagiscono tra loro e dialogano esprimendo la loro passione per il ciclismo in forme nuove e diverse.

Immagine: ASO

In mezzo a tutto questo il ciclismo sa ancora sorprenderci alla vecchia maniera e riportarci indietro nel passato. Ieri a vincere la 12esima tappa, sul traguardo di Bellevue-En Beaujolais è stato il basco Ion Izaguirre della Cofidis con una azione di forza nel finale che ha tolto di ruota lo stesso Mathieu van der Poel. A niente sono valsi i tentativi dei sette inseguitori (tra cui Thibaud Pinot, che è rientrato ora nei primi dieci della classifica generale) per andarlo a riprendere. I tifosi della Cofidis, il team francese restato a digiuno di vittorie al Tour de France per quindici anni, dopo la vittoria di qualche giorno fa di Victor Lafay sul traguardo di San Sébastián, hanno goduto nuovamente per la vittoria di Izaguirre. 

La domanda però, a questo punto, è una soltanto: i tifosi della Cofidis, esistono? E più in generale, i tifosi delle squadre di ciclismo, esistono ancora? Forse, no.

Immagine di copertina: Zac Williams/SWpix.com

Autore: Emilio Previtali

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