Nella canzone ‘Anthem’, tratta dall’album 'The Future' di Leonard Cohen del 1992, c’e’ un verso che dice — 'We are all broken—that's how the light gets in.' (C’è una crepa in ognuno di noi, è così che entra la luce). È un canto di speranza: ogni evento, anche il più doloroso, porta dentro di sé una luce, un significato, un’opportunità.
Se nelle prime due settimane del Tour de France abbiamo assistito ad una forza prorompente da parte di due tra i più grandi fuoriclasse del ciclismo moderno, la terza settimana ha portato uno scisma, quasi inevitabile, nella battaglia per la maglia gialla. Qualcosa si è rotto nel delicato e perfetto equilibrio agonistico tra Jonas Vingegaard e Tadej Pogačar, ma da questa crepa filtra pur sempre una luce di grandi speranze.
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Il danese della Jumbo Visma, Jonas Vingegaard, e lo sloveno della UAE Emirates, Tadej Pogačar, hanno condotto fin qui un Tour eccezionale; martedì, durante la prova a cronometro, c’erano state forse le prime avvisaglie di quello che sarebbe potuto succedere ieri. Ma nessuno vi aveva dato troppo peso.
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Nella tappa regina di ieri, sulle pendenze infernali del Col de la Loze, tutti si aspettavano l’ennesima battaglia sul filo del rasoio da parte dei due protagonisti del Tour di quest’anno; tifosi, telecronisti e giornalisti di tutto il mondo erano certi di potere assistere ad un’altra epica battaglia e di godere di fronte ad un’ipotetica e inarrestabile rimonta killer da parte di Tadej Pogačar.
Ma come spesso avviene, le grandi speranze si sono spente al km 152. Pogačar, occhiaie e viso bianco pallido quanto il colore della sua maglia, breve e conciso, afferma alla radio del suo team: “I’m gone. I’m dead”.
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Jonas Vingegaard, dal canto suo, più disteso e rilassato in volto, accelera e, brillando ancora una volta di luce propria, infuoca le ripide pendenze francesi, un vero e proprio “mostro” delle Alpi, arrivando quarto sul traguardo, dietro a Felix Gall, trionfatore assoluto della tappa, a Simon Yates e a Pello Bilbao.
Questo sport, così tremendo e affascinante, ci ricorda ancora una volta che anche i fuoriclasse, spesso così irraggiungibili, possono avere momenti difficili, così da renderli più umani. Non avevamo mai visto un Pogačar così vulnerabile, un Pogačar che fatica in salita e si trascina tornante dopo tornante, maglia slacciata e sguardo amareggiato, nonostante il mare di tifosi ai lati delle ripide pendenze del Col de la Loze che lo incitano più che mai al grido di “Allez Pogi-Allez Pogi” al suo passaggio.
Studi psicologici sottolineano da sempre l’importanza di esprimere il tifo utilizzando sempre e comunque un linguaggio positivo in modo da incoraggiare gli atleti a dare il loro meglio. Un semplice “Forza! Vai!” funziona decisamente meglio di un “Non mollare!” per esempio; un’espressione positiva può portare a un istantaneo effetto anche nel cervello, inducendo l’atleta alla calma e riducendo le tensioni. Facile a dirsi, ma non a farsi, sopratutto sulle terribili pendenze del Col de la Loze. E infatti, nonostante tutto il supporto del pubblico, le immagini televisive non smettevano di mostrarci un Pogačar stravolto, quasi l’ombra del campione di una settimana fa. A fine gara, alla semplice domanda: “Come stai, Tadej?” Lui risponde con un triste sorriso e un altrettanto semplice: “Sono fot**to”.
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Ma luce e ombra sono due lati opposti della stessa medaglia. Come dare torto a Cohen, quindi. Ricordiamoci che è proprio nei giorni in cui tutto va storto e sembra di aver toccato il fondo che poi riusciamo a trovare la forza di rialzarci e brillare di nuovo. Aspettiamoci un gran finale da qui a Parigi. Con grande probabilità Jonas Vingegaard verrà incoronato nuovo re Sole (altro che re Pescatore), ma Tadej Pogačar troverà sicuramente la grinta e la forza per concludere questo Tour a testa alta.