Mi manca ancora tanto Gino, di Pello Bilbao

Mi manca ancora tanto Gino, di Pello Bilbao

Quasi un anno dopo la morte di Gino Mäder al Tour de Suisse, il suo compagno di squadra Pello Bilbao racconta l'effetto che la scomparsa di Mäder ha avuto su di lui, spiegando perché il corridore svizzero fosse una figura unica all'interno dello sport.

Autore: Chris Marshall-Bell

Probabilmente avrete sentito la storia di Gino che ha trovato un cane randagio a Bilbao e gli ha dato il mio nome. Ebbene, una delle prime volte che ho parlato con lui è stata quando mi ha raccontato questa storia. Ad essere sincero, ero convinto che fosse uno scherzo. È stato così buffo perché fino a quel momento avevo parlato con lui soltanto in poche occasioni, e stava spiegando che aveva dato il mio nome al suo cane! L'ho trovato un po' strano, ma ho capito subito che si trattava di un ragazzo con un senso dell'umorismo speciale.

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Sta per arrivare l'anniversario della sua morte, e penso ancora molto a lui. Chiunque l'abbia mai conosciuto concorda sul fatto che fosse veramente speciale. Quelli come lui non è facile trovarli nel mondo del ciclismo: era qualcosa di più di un corridore. Non si preoccupava solo delle prestazioni. Era una persona capace di pensare a molti argomenti diversi, dimostrando di preoccuparsi per questioni importanti. Quando stavi con lui, riusciva a mettere le cose in prospettiva.

Non è che parlassimo sempre di filosofia, ma parlavamo di Paesi, culture, modi di vivere e confrontavamo i nostri diversi stili di vita. Non ho corso molto con lui - abbiamo preso il via insieme al Giro d'Italia del 2021, anno in cui ha vinto una tappa - ma ogni volta che lo facevamo ho notato che aveva un modo particolare di comunicare. Gino spiegava i suoi pensieri in modo chiaro e pacato, senza cercare di costringerti ad essere d'accordo con lui. Mi ha insegnato che, con la propria personalità, si può coinvolgere qualcuno senza insistere o cercare di convincerlo. Aveva molto a cuore l'ambiente e, oltre a dedicarsi a un progetto di riforestazione, parlava spesso dei ghiacciai e delle ragioni per cui era diventato vegetariano. Non cercava mai di attirare l'attenzione su di sé o di essere al centro della scena, preferiva parlare quando eravamo a tu per tu o in piccoli gruppi. Era in queste occasioni che sentiva di poter dare il meglio di sé, e quando parlava, tu lo ascoltavi.

Gino Mader

(Foto: Stuart Franklin/Getty Images)

Il giorno della sua morte, al Tour de Suisse, è stato ovviamente il momento peggiore della mia carriera da corridore. È stato molto, molto difficile. Abbiamo deciso di non correre la tappa, siamo però andati al traguardo per incontrare sua mamma e suo papà, ed è stato un momento veramente difficile. Dopo cena abbiamo fatto una riunione di squadra con tutti i corridori e i membri dello staff. Nel ciclismo non si è soliti parlare dei propri sentimenti, ma quella sera l'abbiamo fatto tutti ed è stato utile sentire cosa stessimo pensando e provando.

Poi sono tornato a casa per cercare di trovare un po' di normalità con mia moglie e mia figlia di un anno, ma non è stato facile. Pensavo continuamente alla famiglia di Gino e alla sua ragazza chiedendomi: "Cosa succederebbe a mia moglie e a mia figlia se mi accadesse una cosa del genere?". È stato un momento caotico della mia vita. I primi giorni avevo poca motivazione per salire in sella, ma con la partenza del Tour de France dai Paesi Baschi, che è un evento speciale, ho iniziato a pensare di voler fare qualcosa di grande al Tour in memoria di Gino, per mostrare quanto lui fosse eccezionale.

Vincere in fuga la decima tappa è stato un sollievo: mi ha dato un senso di pace. Sentivo di dover fare qualcosa per onorare Gino, dato che non eravamo riusciti a partecipare al suo funerale. La squadra aveva deciso di farci restare a casa, isolati,  per prepararci al Tour, una decisione che per me è stata difficile da accettare. Non sono religioso, non penso a Dio, ma volevo esserci per mostrare rispetto a lui e alla sua famiglia. In realtà le ragioni della squadra erano giustificate: era meglio rimanere a casa ed allenarsi per poi avere migliori chance di onorare Gino in corsa. Quando ho vinto l'ho dedicata a lui, e questo ha significato molto per tutti noi. Ci ha aiutato tanto, e dopo di me hanno vinto anche Wout Poels e Matej Mohorič. Correvamo tutti per Gino, come era scritto sulle divise.

Pello Bilbao, Tour de France 2023

(Foto: Zac Williams/SWPix)

Inizialmente puntavo alla seconda tappa del Tour dello scorso anno, a San Sebastián, ma dopo la sua morte ho iniziato a chiedermi se volessi rischiare tutto nella veloce e pericolosa discesa dallo Jaizkibel. Per un attimo mi sono chiesto se sarei mai più stato in grado di correre in quel modo. Prima ero più aggressivo, rischiavo più spesso e mi piacevano le situazioni di adrenalina pura. Ma oggi, dopo quello che è successo a Gino e dopo la nascita di mia figlia, devo essere molto preparato e sicuro quando voglio prendermi dei rischi. Ora cerco di evitare molto di più le situazioni rischiose e vado a tutta solo quando sono davvero convinto e percepisco che è necessario per ottenere un buon risultato. La cosa positiva è che so di non poter controllare ogni situazione e con l'analisi e le ricognizioni di gara posso ridurre al minimo i rischi. Ma devo essere onesto: la morte di Gino ha cambiato il mio modo di correre.

Tuttavia, mi sento ancora fiducioso e a mio agio in gara, e quest'anno ho avuto un buon inizio di stagione: terzo allo UAE Tour, sesto al Giro dei Paesi Baschi e nono ad Amstel Gold Race e Liegi-Bastogne-Liegi. Sono contento all'idea di tornare al Tour per provare a vincere un'altra tappa.

Prima o poi vorrei visitare il cimitero in Svizzera dove è sepolto Gino. Sarà un momento difficile, ma voglio farlo perché era una persona davvero speciale e a me, anzi a tutti noi, manca ancora molto.

- Pello

 

*Immagine di copertina: Charly Lopez/Bahrain Victorious 

Autore: Chris Marshall-Bell

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