L’idea di base della tecnologia degli SMS, i messaggi di testo precursori di whatsapp e di tutte le forme di messaggistica digitale, è nata dall’idea di un ingegnere tedesco nel 1985. Friedhelm Hillebrand, questo il suo nome, all’epoca aveva 45 anni ed era un tecnico di Telekom al lavoro sullo sviluppo della tecnologia GSM.
La sua intuizione fu semplice: sfruttare le potenzialità di una banda di servizio del sistema di comunicazione voce GSM per inviare o ricevere brevi messaggi di testo tra gli utenti. Inizialmente le potenzialità degli SMS su cui Hillebrand stava lavorando non furono comprese a fondo dai colossi della telefonia mobile che finanziavano le ricerche e lo sviluppo della tecnologia GSM.
A cosa mai poteva servire la possibilità di inviare brevi messaggi di testo, quando si stava lavorando sulla possibilità di fare arrivare la voce in ogni luogo coperto dalla rete? La voce ovunque e senza limiti, sembrava essere l’aspettativa più importante da soddisfare per gli utenti della telefonia mobile. Quando però nel 1992 fu introdotto il servizio di invio e ricezione degli SMS, a quell’epoca della lunghezza massima di 160 caratteri, fu un successo straordinario.
“Perché digitare un messaggino quando si può semplicemente chiamare?”, si scervellavano i tecnici. Gli utenti della telefonia mobile, incuranti dei pareri degli esperti iniziarono a scambiarsi sempre più frequentemente brevi SMS invece che chiamarsi a voce. Nel campo della telefonia era difficile immaginare un downgrading più radicale e consistente. Proprio mentre le compagnie telefoniche arrivavano ad offrire il massimo livello di connettività a livello voce, gli utenti decidevano in massa di andare nella direzione opposta e ridimensionare le proprie aspettative accontentandosi di scambiare dei messaggini da 160 caratteri l’uno.
Gli SMS erano una rivoluzione: semplificavano la comunicazione, rarefacendo le conversazioni telefoniche e attribuendogli un valore intrinseco superiore. Paradossalmente parlarsi di meno al telefono rendeva le conversazioni a voce più preziose ed efficienti, senza contare il passaggio da comunicazione sincrona a comunicazione asincrona grazie all’uso dei messaggi scritti, con la conseguente possibilità del multitasking.
Immagine RCS Sport
Ora, veniamo a noi. Il Giro d'Italia numero 106, come sempre negli ultimi anni, sta offrendo ai telespettatori la copertura totale delle 21 tappe in programma. Copertura totale significa che l’intera competizione, dalla prima pedalata all’ultima fin sulla linea del traguardo, grazie all’utilizzo di numerosi elicotteri e mezzi tecnici di supporto, viene trasmessa in diretta integrale. È uno sforzo logistico e tecnologico enorme che percepiamo come progresso ma che ha i suoi costi, non soltanto economici. Per produrre la copertura televisiva di un evento come il Giro d’Italia servono numerosi elicotteri per le riprese e per i ponti radio. Poi servono numerose automobili, moto, regie mobili, persone in corsa, tutte cose che ha un impatto sulla sostenibilità della gara non indifferente. Perché serve dirlo, le corse ciclistiche sono uno degli sport meno sostenibili in circolazione e bisogna sforzarsi di migliorare.
Non è un caso che gli organizzatori dell’Artic Race of Norway, ad esempio, stiano tentando in tutti i modi di ridurre l’impatto ambientale della propria corsa, anche sostituendo parzialmente gli elicotteri con l’utilizzo di droni o riducendo la copertura televisiva soltanto ai momenti salienti della corsa.
Sono finiti i tempi in cui le autorità locali e i paesi attraversati dalle corse si limitavano a considerare il solo bene economico di un evento come il Giro d’Italia. Ora le corse sono indissolubilmente legate, oltre che al territorio e alla necessità di farlo conoscere, anche alla promozione di stili di vita più consapevoli e a modalità di trasporto e consumo più sostenibili. Un messaggio che diventa ancora più forte se esiste un organizzatore capace di fare da traino, stimolando gli altri.
Immagine: Zac Williams/ SWpix
Ieri la 17esima tappa del Giro d’Italia, la Valsugana - Carole di 197 km è stata una lunga, lunghissima rincorsa in discesa verso la volata finale, che è stata vinta da Alberto Dainese del Team DSM che ha preceduto di pochi centimetri Jonathan Milan - secondo - e Michael Mattews - terzo. La corsa è stata movimentata soltanto dalle brevi fughe e volate per aggiudicarsi i punti utili alla conquista della maglia ciclamino. A parte le fasi finali, niente di irrinunciabile da vedere.
La gara è durata nel complesso quasi quattro ore e mezza. Viene da chiedersi se davvero è necessaria la copertura integrale della gara in tappe come questa.Ovviamente se pensiamo alla corsa soltanto come a un evento che una società privata produce, investendo capitali propri e realizzando un progetto imprenditoriale dalla logica economica più che comprensibile, la copertura integrale ha una suo perché.
Ma se distaccatamente proviamo a mettere al centro la necessità di rendere le corse ciclistiche più sostenibili, probabilmente un downgrading alla copertura parziale o a una combinazione di riepiloghi in differita e di una parte finale della gara in diretta, potrebbe essere un compromesso interessante. L’invenzione degli SMS e il successo strepitoso presso i possessori di smartphone potrebbe essere un’ispirazione da non sottovalutare.
Premesso che le tappe per velocisti che si concludono in volata sono spettacolari, hanno una propria loro logica e servono oltre che a dare un po’ di respiro ai protagonisti della classifica generale anche a gratificare corridori dotati di caratteristiche differenti, viene da pensare che anche l’insofferenza che mai come quest’anno i telespettatori hanno esternato nei confronti di una corsa in cui non sembrava non succedere mai niente, ne potrebbe beneficiare.
Certe volte togliere invece che aggiungere, crea valore. Probabilmente senza diretta televisiva integrale avremmo più desiderio di accendere la tv a metà pomeriggio per l’ultima ora e mezza di tappa, che in fin dei conti, è sempre la più interessante. La durata di una partita di calcio è di 90 minuti, la tappa di ieri è durata 270. Poi ci sono i vari processi alla tappa, le interviste, le anticipazioni della tappa successiva: fare il telespettatore di un grande giro è quasi un lavoro a tempo pieno.
Speriamo che l’organizzazione prenda coraggiosamente in considerazione la possibilità di un downgrading per il futuro e che il pubblico percepisca questo cambiamento come una strada che il ciclismo può provare a intraprendere per diventare più sostenibile e più attento all’ambiente.