Domani la Vuelta a España passerà per le terrificanti rampe dell'Angliru, una delle salite più dure d'Europa. La prima volta di una corsa ciclistica su quella salita che è ormai leggenda è stata solo 21 anni fa, è storia recente.
Per mesi prima della corsa, quell'anno, sulle ammiraglie e nei pronostici per il vincitore non si era parlato di altro. La data era il 12 settembre 1999 e Carlos Arribas, un giornalista di El Pais, era lì, nelle Asturie.
Questa è la sua storia.
«Mi ricordo la pioggia. E le nuvole, così basse da galleggiare sull'asfalto.
Ricordo l'autobus che portava i giornalisti al traguardo, in cima alla salita. L'Angrilu era diventato leggenda prima ancora di essere scalato. Non c'erano storie antiche da raccontare o fotografie in bianco e nero di corridori del passato, che piegati sulla bici soffrivano sulle sue rampe. Non c’era niente di niente, eppure nei giorni precedenti al passaggio tra noi al seguito della gara e tra i tifosi, o sui giornali, non si parlava d'altro.
Il pulmino era lento, molto lento ed era costretto a fermarsi ogni pochi metri. Il motore a quanto pareva non aveva abbastanza potenza e le ruote abbastanza grip per salire sulla Cueña de les Cabres La pendenza era del 23% e centinaia di tifosi che erano lì in attesa della corsa sbarravano il passaggio a qualsiasi veicolo più largo di una bicicletta.
L’aria puzzava di erba bagnata e di scarico di motori diesel, di frizioni bruciate delle auto che erano già salite ed erano ferme a bordo strada, incapaci di salire. I tifosi, tutti insieme, spingevano le automobili su per la salita proprio nello stesso modo in cui i piloti di enduro, con le loro motociclette, si aiutano e si spingono tra loro quando sono in difficoltà. Le auto che non ce la facevano a salire venivano spostate di peso a bordo strada e parcheggiate in punti in cui potevano non nuocere, abbandonate nel prato o in uno slargo fino a dopo il passaggio della corsa.
L’Angliru - o la Gamonal, come la si chiamava allora - era stata inserita per dare alla Vuelta quel prestigio che salite come quella del Mortirolo o dello Stelvio davano al Giro, o del Tourmalet e del Galibier al Tour.
Il 21° secolo non era ancora cominciato ma nel ciclismo era già iniziata un era: quella delle esagerazioni, della ricerca del difficile e del ripido a tutti i costi. L'arrivo della gara su questa rampa sconosciuta segnò un passaggio epocale per lo sport del ciclismo. Per la prima volta nel ciclismo professionistico su strada non c'era da vergognarsi a parlare fuori dai denti della necessità per i corridori di montare una guarnitura tripla sulla bici, in modo da poter superare i tratti più difficili.
Già alcuni giorni prima dell'Angliru Rudy Pevenage, il team manager di Telekom aveva chiesto ai meccanici di montare sulla bici di scorta di Jan Ullrich una guarnitura tripla, e tutti gli altri direttori sportivi l’avevano vista increduli sul tetto della ammiraglia. Manolo Saiz della ONCE invece, aveva preferito tenere segrete le sue scelte tecniche per la bicicletta di Abraham Olano, il suo capitano.
Era l'inizio di una sorta di competizione tra i grandi giri per avere nella propria corsa la salita più dura e impossibile. Il Giro rispose qualche anno dopo con lo Zoncolan salito da Ovaro. Il Tour rimase indifferente alla faccenda per un po' ma poi finì per introdurre il Mont du Chat con le stesse intenzioni.
Ricordo come in un sogno senza tempo l’attesa dei corridori spesa in gran parte all’umido e al freddo, avvolto nella foschia insieme ad altri sconosciuti fermi in piedi davanti a un minuscolo televisore portatile, messo a disposizione del proprietario attraverso la finestra aperta del suo camper. Stavamo con i piedi ghiacciati immersi in un mare di nuvole basse che ostacolavano l'elicottero della televisione e attendevamo pazientemente il passaggio della corsa.
Quando sogniamo tutto ciò che accade nel sogno, avviene secondo una propria logica. Soltanto al risveglio, quando ci è dato di ricordare, siamo in grado di renderci conto che alcuni degli eventi che ricordiamo alla perfezione, non potevano essere soggetti alle leggi della realtà. Che erano assurdi.
Ed è così che è stata la prima volta dell’Angliru alla Vuelta. Tutto sembrava normale così come stava accadendo, ma non lo era. Guardavamo i ciclisti alla televisione e poi li vedemmo passare davanti a noi ad uno ad uno, doloranti, stralunati e sofferenti. Apparivano e scomparivano alla nostra vista per rientrare nuovamente nello schermo, da dove erano venuti.
Olano - che era caduto nella discesa del passo precedente ed era stato recuperato da un fosso dai suoi meccanici - quel giorno salì l'Angliru senza sapere di avere una costola rotta. Tuttavia, riuscì a mettere un po’ di distanza tra lui e il suo rivale in classifica generale Jan Ullrich. Davanti a loro, il russo Pavel Tonkov sembrava salire senza peso. Ma il più impressionante di tutti, era "Chava" Jimenez.
Chava, nel sogno, non soffriva e continuava a fischiettare allegro come un ragazzo spensierato che torna a casa da scuola un sabato pomeriggio. Senza sapere come, proprio come in un sogno, a un certo punto della salita a meno di un chilometro dall’arrivo, aveva raggiunto e superato Tonkov pedalando leggero, staccandolo prima del traguardo.
Chava aveva vinto come vincevano i ciclisti di un tempo, senza alzare le braccia, con le mani bene attaccate al manubrio. Nel dopo corsa, nelle interviste, aveva parlato dell'amico Marco Pantani, aveva detto di volergli dedicare la vittoria e di voler condividere la sofferenza della salita con lui, con "il Pirata”, il suo idolo. Marco Pantani era stato allontanato dal Giro e in definitiva dal ciclismo, soltanto tre mesi prima, a Madonna di Campiglio.
L’Angliru era stato salito una sola volta ed era già diventato leggenda. Era già dentro di noi, da qualche parte, come se ci fosse da sempre stato».
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