Agostini e Mondini raccontano il giovane Pantani

Andrea Agostini e Gianpaolo Mondini ripercorrono gli anni trascorsi accanto a Marco Pantani, il ragazzo che diventò Il Pirata: "Era chiaro che fosse speciale"  

Autore: James Startt

Articolo pubblicato su Rouleur Itali 24 - Esperienza - disponibile su abbonamento

Agostini e Mondini sono ancora oggi attivamente impegnati nel mondo del ciclismo: Andrea Agostini ricopre il ruolo di Chief Operating Officer della UAE Team Emirates ed è anche CEO della società di logistica associata, mentre Gianpaolo Mondini è Specialized Racing Team Liaison Road. Nonostante i loro percorsi professionali, entrambi mantengono un forte legame con le loro radici romagnole e con il ricordo di Marco Pantani.

"Non si può dire Cesenatico senza pensare a Marco", afferma Agostini. "Ho iniziato ad andare in bicicletta con lui quando avevo 11 anni e ho fatto parte di tutte le squadre dilettantistiche con lui fino ai 22 anni. In realtà, ci siamo conosciuti prima: un giorno abbiamo litigato di brutto a scuola e il giorno dopo siamo diventati migliori amici per sempre".

Agostini ricorda con affetto il lato gioviale di Pantani: "Gli piaceva molto divertirsi e amava la competizione. Faceva sempre scommesse. Se eravamo in una sauna, la sfida era vedere chi riusciva a rimanere dentro più a lungo. Se eravamo in spiaggia, si trattava di costruire il miglior castello di sabbia. Ricordo una volta una gara sul pedalò Nove Scogli, volevamo vincere a tutti i costi! Ci abbiamo provato con tutte le nostre forze, e posso dire che eravamo molto frustrati quando non ci siamo riusciti".

Secondo Agostini, Pantani coltivava il sogno di diventare un ciclista professionista fin da quando aveva iniziato a correre. "Marco aveva ben a mente che voleva diventare un ciclista professionista. Non è stato sempre facile perché, crescendo a Cesenatico, vivevamo al mare e d'estate era facile essere tentati di stare in giro. Siamo romagnoli, noti per divertirci e passare molto tempo con gli amici. Ma Marco aveva una straordinaria capacità di bilanciare entrambe le cose. C'erano momenti in cui si divertiva molto, ma quando voleva ottenere dei risultati, diventava incredibilmente concentrato. Si chiudeva in casa e, se non si allenava, lavorava sulla sua bicicletta. Era sempre impegnato a forare parti della bici per renderla più leggera. E amava gareggiare".Mondini si unì a Pantani e Agostini nella Giacobazzi, la squadra che segnò l'ultimo anno di Pantani tra i dilettanti, e il fuoriclasse delle salite non tardò a lasciare il segno. "Era già chiaro che c'era qualcosa di speciale, qualcosa di diverso in lui come corridore", ricorda Mondini. "Quando si trattava di scalare, era chiaramente di un altro livello. Potevamo pedalare a 40 chilometri all'ora in pianura, ma quando iniziavamo a salire, Marco manteneva quella velocità. Era semplicemente impossibile stargli dietro".

I tre si separarono l'anno successivo, ma si ritrovarono quando Pantani era ormai una star affermata. Agostini lasciò il ciclismo per dedicarsi agli studi in economia e gestione del marketing, mentre Mondini intraprese la carriera da ciclista professionista. Successivamente, Agostini divenne l'addetto stampa di Pantani, e Mondini lo raggiunse nella squadra Mercatone Uno.

Quando Pantani vinse il Giro d’Italia e il Tour de France nel 1998, sia Agostini che Mondini ricordano quanto Marco abbia lottato con la pressione della celebrità. "Quando eravamo a Cesenatico, era semplicemente Marco. Ma quando eravamo alle corse, diventava Pantani," ricorda Agostini. "Tutto era una lotta per lui. La pressione era immensa e sembrava essere tutto troppo da sopportare. Era una persona completamente diversa".

Pantani è stato, senza dubbio, una delle figure più carismatiche e complesse del ciclismo. Emanava un’aura di mistero e distacco, spesso riferendosi a sé stesso in terza persona. Questo aspetto si sposava perfettamente con il suo soprannome, Il Pirata. Aveva un rapporto unico con i suoi tifosi, che impararono a prevedere i suoi attacchi in salita osservando il colore della bandana che indossava quel giorno. Il suo stile di scalata esplosivo e incisivo era così distintivo che veniva spesso paragonato a quello del leggendario Fausto Coppi.

Sebbene la sua carriera si sia conclusa tragicamente, la leggenda di Pantani continua a risuonare nella storia del ciclismo, e i suoi fan gli restano profondamente devoti.

Sebbene Agostini continui a nuotare nel mare dei ricordi della loro vita insieme, fatica ancora a fare i conti con la tragica scomparsa di Pantani. In qualità di suo addetto stampa, era con lui il 5 giugno 1999, quando, con la Maglia Rosa sulle spalle, Marco fu espulso dal Giro d’Italia per un livello di ematocrito irregolare. Fu l’inizio del declino di Pantani, che si concluse meno di cinque anni dopo con la sua morte per overdose di cocaina, il 14 febbraio 2004.

"A un certo punto, ha perso se stesso", racconta Agostini. "Dopo il 5 giugno 1999, qualcosa in lui si è rotto. All’inizio abbiamo cercato di parlargli, ma non voleva ascoltare nessuno".

Mondini si unì a Pantani nella squadra Mercatone Uno nel 2001, su richiesta dello stesso Marco. "Ad essere sincero, non avevo scelta. Non potevo dire di no a Marco", dice Mondini con una risata. "Ma vedevo già che essere Marco Pantani non era facile per lui. Le pressioni su di lui erano davvero difficili da gestire. C’era un vero peso sulle sue spalle".

Ancora oggi, entrambi sono tormentati dalla perdita di Marco e ricordano con dolore l’ultima volta che lo hanno visto. "L’ho incontrato alla fine dell’estate del 2003. Mi disse: 'Non voglio più combattere. Ho perso.' Quel momento mi ha spezzato il cuore", racconta Mondini. "E lo fa ancora oggi".

Nonostante il dolore per la sua scomparsa, Agostini e Mondini custodiscono con affetto i tanti bei momenti vissuti con uno dei corridori più memorabili nella storia del ciclismo.

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Autore: James Startt

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